La Via del Samurai Gi (義) – onestà e giustizia, Yū (勇) – eroico coraggio, Jin (仁) – compassione, Rei (礼) – gentile cortesia, Makoto (誠) – completa sincerità, Meiyo (名誉) – onore e Chūgi (忠義) – dovere e lealtà. In adolescenza ho conosciuto l’Aikidō, arte marziale con cui ho passato parecchi anni della mia vita e che ho insegnato abbastanza precocemente. Il bullismo subito e l’insicurezza cronica mi ha avvicinato a questa arte marziale, aiutandomi pian piano a creare uno scudo di apparente sicurezza che quantomeno mi dava la possibilità di strutturare un’identità. Grazie all’Aikidō ho conosciuto il mio primo amore, le mie prime vere amicizie e avventure di cui ancora conservo dei bellissimi e tormentati ricordi. Molto presto però ho percepito insofferenza rispetto a limiti imposti da una ristrettezza mentale, tipica di un pensiero dogmatico che irrigidiva l’arte marziale ad una fredda ripetizione tecnica senza vita e senza marzialità. A mio modo di vedere non solo nelle arti marziali, ma anche nello Yoga e meditazione, è facile confondere il mezzo con il fine. Per fare un esempio, uso una forchetta per mangiare cibo o un bicchiere per bere acqua, ma non mi mangio la forchetta e mi bevo il bicchiere. Quando confondiamo lo strumento (dito) con il fine (luna) diventiamo fanatici e chiusi mentalmente. Nel contesto iper razionale e performativo in cui ci troviamo, è ormai difficilissimo incontrare davvero la qualità e capire il senso di ciò che stiamo facendo. I principi che danno vita a certi movimenti, se non hanno un corrispettivo nella vita quotidiana saranno solo una fuga dalla realtà. Il mio tentativo è stato quello di ridare dignità all’aspetto marziale senza perdere di vista il lato relazionale e armonioso tipico dell’Aikidō. Per quanto questi due elementi (marziale e relazionale) possono sembrare in contrasto, per me hanno la stessa radice: il sentire. Trovandomi però nella difficile posizione di voler sperimentare e andare oltre l’Aikidō attuale, mi sono ritrovato ad esplorare altri territori marziali, come il Tai Chi Chuan e il Qi Gong, il Systema, e più di recente il WintSun. Contemporaneamente mi specializzavo nel più fisico Calisthenics e AnimalFlow per integrare questi percorsi. Eppure sentivo sempre che mancava qualcosa, ma era un ingrediente che nessun maestro o disciplina poteva darmi perché dovevo scoprirlo da solo. Mi riferisco proprio al sentire e alla fiducia nelle potenzialità innate del corpo. Ed è proprio qui che dopo anni di frammentazione ho trovato il punto di incontro tra spirito e materia, corpo e mente, movimento e quiete, meditazione e azione! Ho iniziato molto presto a sentire il peso di tutti quei gesti preimpostati che seducevano la mente ma limitavano la naturalezza e l’istintività dei movimenti. Quando ci imbottiamo di tecniche e movimenti costruiti stiamo cercando una sicurezza nella memoria ma perdiamo di istinto e spontaneità. Se diversamente percepiamo la situazione nell’istante, agiremo in modo appropriato senza bisogno di passare anni e anni dietro il perfezionamento tecnico senza fine di schemi e kata infiniti. Essi sono sì utili, ma possono diventare una forma di fuga e fraintendimento dall’essenziale. Quello che ho scoperto è che il corpo ha una sua propria intelligenza che può essere riscoperta senza imbottirlo di nozioni su come fare questo o come fare quell’altro. Pian piano ho iniziato a fidarmi di questo istinto innato e ho notato dei risultati incredibili in me e sui miei allievi. In questo aspetto di ricerca dalla libertà, spontaneità e adattamento, ruota tutta la mia proposta didattica. Oggi per me l’arte marziale rappresenta la perfetta sintesi tra movimento e spiritualità. Motivo per cui traggo sempre enorme ispirazione quando conduco i ritiri spirituali nel proporre pratiche che hanno una radice proveniente dalle arti marziali. Queste proposte hanno come focus il risveglio dell’attenzione e del potere innato del corpo. Non è necessario diventare degli esperti artisti marziali per rendersi conto dell’enorme tesoro che portiamo dentro e possiamo risvegliare.